Con 188.352 presenze regolari i cinesi
rappresentano la quarta comunità straniera in Italia e gestiscono 40.000 tra
bar, centri estetici, lavanderie, money transfer e commerci vari. Rispetto a
molti altri gruppi di immigrati i cinesi sono più laboriosi e più ricchi. Spendono
poco, fanno vite spesso al limite della dignità con l’idea di migliorare in
futuro la loro condizione e quella dei loro figli. Da alcune analisi nazionali
risulta che oltre 500.000 cinesi si mantengano con gli euro che vengono spediti
in Cina dai loro connazionali (spesso famigliari) che sono in Italia. In
Provincia di Modena i cinesi residenti alla fine del 2010 era circa 5058, il
5,5% della popolazione straniera. Si tratta della quinta comunità straniera, in
linea quindi con i dati nazionali, dopo Marocco, Romania, Albania, Tunisia e
Ghana. Alcuni tratti distintivi, spesso divenuti luoghi comuni, li
caratterizzano. Hanno un forte senso della comunità, che li porta ad aiutarsi
tra amici e parenti. Anche economicamente i capitali che usano come start up
delle loro attività sono spesso frutto di prestiti ricevuti dalla famiglia
allargata, dal “clan”. Grazie alla loro proverbiale laboriosità,
sopportazione della fatica e aiuti reciproci, riescono spesso a raggiungere il
loro obbiettivo: fare soldi. Alcuni sono imprenditori che i nostri
stessi imprenditori hanno “invitato” in Italia per fare affari. Altri sono
immigrati che hanno lavorato come dipendenti per anni e poi si sono
“riscattati” ed hanno aperto una loro attività. Là dove le comunità cinesi sono
molto numerose i cinesi hanno creato un’economia autosufficiente e rivolta ai
loro connazionali. Lo si riconosce dove i negozi hanno solo la scritta cinese.
Quando le presenze cinesi non sono tali da garantire un sufficiente guadagno
ecco che non si disdegna la clientela italiana e di conseguenza si adattano
insegne ed abitudini. Altra caratteristica tipica dell’economia cinese in Italia
è il grande uso del contante. Avendo la disponibilità di finanziamenti
famigliari per avviare le attività, spesso non dipendono dalle banche e alle
banche non danno i proventi dei loro guadagni. Per capire quanto contante sia
movimentato dall’economia cinese basta pensare che nel 2011 sono state
registrate quasi 34.000 operazioni effettuate presso i money tranfer mentre nel
2002 erano appena 687! Nel 2009 tramite money tranfer sono stati trasferiti
all’estero 5 miliardi di euro. Le nuove norme introdotte in Italia rispetto
alle quali è stata abbassata la soglia sopra la quale è vietato effettuare
pagamenti in contanti potrebbe contrastare il fenomeno. Le prime comunità
cinesi in Italia si sono insediate a Milano, Firenze e Prato. Ora troviamo
comunità cinesi in diverse altre città e anche a Formigine ci sono alcune
attività gestite dai cinesi. Le siamo andate a vedere. Abbiamo provato a
parlare ed intervistare alcuni di loro ma nessuno si è reso disponibile. Ci
accontentiamo allora di raccontarvi cosa abbiamo visto.
Un giro tra le attività cinesi a Formigine
Partiamo dal centro commerciale 2000. Qui c’è
“Angel general store”. Due vetrine dietro le quali si cela un ampio negozio. Si
entra e si trova subito il reparto abbigliamento. Un fortissimo odore di materiale
sintetico ci lascia quasi senza fiato. I capi di abbigliamento costano poco ma
risultano subito, anche ad occhi inesperti, di qualità scadente. Giriamo alcuni
cartellini e le etichette testimoniano che tutti i prodotti sono rigorosamente “Made
in China”. Tra gli scaffali si trova davvero di tutto. Materiale di
cancelleria, prodotti per la casa, trucchi e profumi, il kit per pulire TV o
computer e perfino la copia di un tapiro d’oro di quelli che il programma
“striscia la notizia” assegna a malcapitati autori di gaffe. Usciamo e notiamo
subito che in vetrina al cartello “giovedì pomeriggio siamo aperti” è
affiancato lo striscione che a caratteri cubitali ricorda “domenica aperti”.
Ci spostiamo al centro commerciale di via Quattro Passi,
sempre a Formigine. Anche qui siamo accolti da una scritta verticale che
ribadisce “domenica aperti” a fianco dell’insegna di “CZ Mercatone”. Si trova
al primo piano del centro commerciale ed è un enorme general store gestito da
cinesi. Evidentemente per entrambi i gestori di questi negozi il decreto
liberalizzazioni che consente massima libertà ai commercianti per le aperture e
le chiusure è come manna dal cielo, perfettamente in linea con una cultura del
lavoro totalitaria che non distingue tra lavoro e festa. Giriamo tra gli
scaffali di “Cz Mercatone” e anche qui si trova di tutto: abbigliamento,
calzature, casalinghi, giocattoli, mobili. Ci stupisce il cartello che recita
“ordinanze invernali – obbligo di catene a bordo” e sottolinea, poco più in là,
“sono in vendita qui”. E’ indicativo di un’attenzione per trasformare in
business anche i provvedimenti amministrativi dei comuni. In tutti e due i negozi
abbiamo trovato clienti diversi sia italiani sia stranieri e ne usciamo con una
convinzione. Entrambi hanno un target commerciale molto preciso: bassi prezzi,
scarsa qualità. Nel nostro pellegrinare ci trasferiamo poi in centro, dal
ristorante cinese “Grande Du Cheng” di fronte alla chiesa dell’Annunciata, in
angolo tra via Giardini e via San Pietro. Entriamo e troviamo un ragazzo
adolescente che in uno dei tavoli all’ingresso è indaffarato a scrivere,
attorniato da libri e quaderni. Ci viene incontro con un menu. Chiediamo di
poter parlare con i titolari ma né la signora che si trova alla cassa né il
marito che arriva subito dopo, accettano un’intervista e si celano dietro un
“non capiamo bene l’italiano”. Peccato. Spieghiamo che il loro ristorante è
ormai da anni integrato nella nostra città e volevamo ascoltare il loro punto
di vista. Al secondo no, conoscendo la diffidenza e l’impenetrabilità cinese,
usciamo.
Decidiamo allora di prenderci un caffè ed andiamo
in via Sanzio 4, al “White caffè” di “Chen Yibin & C s.n.c.”. Era il
vecchio locale dove un tempo c’era la gelateria “K2”. Lo spazio non è molto
grande. Entriamo e notiamo tra i tavolini una curiosa partita a carte tra alcuni
operai appena usciti dal lavoro cui partecipava anche il giovane barista
cinese. Clima cordiale, sorrisi e battute. Alcuni leggono il giornale, altri sono
seduti fuori. Sembra già il punto di ritrovo di una clientela abituale. Il
nostro tour si conclude a Corlo. All’angolo tra via Radici e via Battezzate.
Fuori si trova ancora la vecchia insegna ma da 5 mesi il bar ha cambiato
gestione. E’ lo “snow bar” di “Xu Wenxiao & C s.a.s.” nel quale entriamo
per il secondo caffè della giornata. Ci serve un ragazzo cinese. Dice di
abitare a Corlo, dietro la posta. E’ soddisfatto per gli affari di questi primi
mesi ma di più non si sbilancia. Non forziamo la discussione ma l’impressione è
che con le nuove generazioni sia più facile aprire un dialogo e caso mai
arrivare a condividere un percorso di maggiore integrazione.
14 anni a Hong Kong – l’esperienza di un “ponte” tra
Italia e Cina
Lo chiamiamo al telefono e con grande disponibilità
ci dà appuntamento alle 11 di fronte alla chiesa parrocchiale di Fiorano. Padre
Stefano Andreotti, 14 anni trascorsi a Hong Kong come missionario o meglio come
si definisce lui “prete residente all’estero, tecnico dei progetti di sviluppo
e amico dei lebbrosi”. Cominciamo a parlargli e a chiedergli informazioni
rispetto ai cinesi presenti in Italia per capire ed approfondire dinamiche
migratorie e comportamenti sociali, ma non passano molti minuti, il tempo di
camminare intorno alla chiesa e trovarci di fronte al piazzale del
cinema/teatro Primavera, per capire che stavamo sbagliando l’approccio. Noi pensavamo
di partire dalla fine, dal particolare capire il generale, ma evidentemente
parlando di Cina occorre fare il contrario: dal generale scendere nel
particolare. “Io non so spiegarvi le
dinamiche migratorie ed i comportamenti sociali che regolano la presenza degli
immigrati cinesi in Italia”, precisa subito padre Stefano. “Io posso solo
raccontarvi la mia esperienza”.
Padre Stefano Andreotti
Restiamo così quasi un’ora, in piedi, sotto un
tenue ma piacevole sole, ad ascoltare. Giusto per ricordare gli ordini di
grandezza con cui ci stiamo confrontando meglio premettere alcuni numeri. La
Cina ha una superficie totale di 9.596.960
km² pari a circa 31 volte il nostro paese e una popolazione di oltre 1.300.000.000
abitanti pari a 22 volte l’Italia. La popolazione è sparsa in modo molto
irregolare; è infatti concentrata prevalentemente a est nelle grandi pianure,
mentre a ovest, zona più aspra e arida, vi è una densità bassissima. La Cina
moderna è caratterizzata da uno squilibrio socio-economico molto rilevante e
questo determina un’enorme migrazione interna ed esterna. A meno di 620 Km da
Pechino, infatti, ci sono diverse aree rurali in cui vivono principalmente
anziani e bambini, ma pochi uomini e donne, essendosi questi ultimi trasferiti
dalle campagne alla città per lavorare nel tentativo di costruirsi un futuro.
Risulta che, solo nel 2004, almeno 140 milioni di cinesi abbiano abbandonato la
propria casa rurale. In altre parole è come se tutti gli abitanti di Italia e
Francia migrassero verso un'altra parte del continente europeo. Le principali
città cinesi meta della migrazione interna oltre a Pechino, sono Hong Kong, Shanghai, Macao, Nanchino. Arrivati in città, questi immigrati sono privi
di diversi diritti quali la sanità, l'istruzione, il lavoro, l'alloggio e fanno
fatica a vivere serenamente, anche se gli stipendi sono certamente più alti di
quelli delle campagne. A questa forte migrazione interna dalle campagne alla
città, ci spiega padre Stefano, corrisponde una migrazione verso l’estero secondo
una dinamica “a soffietto” per cui dalle campagne migrano verso le città e
dalle regioni/paesi medio ricchi, chi può, migra all’estero. Gli immigrati
cinesi in Europa ed in Italia provengono principalmente dalla provincia cinese
di Zhejiang (che comprende città come Wenzhou, Wencheng, Ruian, Qingtian). “E’
un po’ come accadeva tra Sassuolo e Irsina ai tempi del boom economico del
distretto ceramico”, dice Padre Stefano “c’è una sorta di gemellaggio informale
tra due regioni del mondo e chi viene in Italia mantiene fortissimi contatti
con la Cina”. Lo Zhejiang non è assolutamente la regione più povera della Cina:
negli ultimi anni ha conosciuto un grande sviluppo economico.
Allora cosa ha spinto migliaia e migliaia di abitanti
di questa regione a cercare fortuna all'estero? Forse è stata l'intraprendenza
degli abitanti di Zhejiang a spingerli in questa avventura di massa, la stessa
che ha portato alcuni di loro ad accumulare discrete ricchezze, dopo anni di
durissimo lavoro. Non è stata la povertà in sè che ha spinto migliaia e
migliaia di cinesi ad emigrare, quanto piuttosto una mancanza di opportunità,
di un futuro certo. “Quello che molti cinesi cercano emigrando dalla Cina è di
avere un riscatto meramente economico” dice Padre Stefano. “Spesso arrivano in
Italia grazie a parenti e conoscenti che li hanno preceduti. Lavorano come
dipendenti, in alcuni casi anche sfruttati, fino a quando non si “riscattano”.
Tutti cercano di diventare imprenditori di sé stessi. E’ proprio della cultura
cinese essere autonomi e sviluppare i propri talenti. Spesso in Italia
rinunciano a qualunque hobby o al loro tempo libero e soddisfano le loro necessità
(quelle sanitarie per esempio) avvalendosi delle prestazioni di altri
connazionali risultando così spesso invisibili alla nostra società.
Tradizionalmente le comunità cinesi sono molto chiuse ed autonome sebbene ci
siano alcune caratteristiche che accumunano la loro cultura alla nostra. Ad
esempio amano molto la musica, la buona cucina e danno un forte valore al clan
ed ai rapporti famigliari. In questo senso si può anche spiegare la presenza in
Cina del fenomeno mafioso che, come da noi, nasce quale degenerazione spontanea
di rapporti affettivi molto intensi che diventano morbosi, totalizzanti,
portando all’illegalità prima e alla non libertà dopo.” La nostra chiacchierata
finisce con una nota di speranza. Anche se a fatica, secondo Padre Stefano, la
possibilità di integrazione nella nostra società da parte dei cittadini cinesi
può essere riposta nelle seconde generazioni. Spesso i figli dei cinesi
immigrati in Europa ed in Italia sono nati qui e non conoscono nulla della
Cina. La loro prospettiva è di farsi un futuro in occidente e questo può
portare a trovare punti di contatto con un mondo rispetto al quale sempre più
spesso vediamo la vetrina ma che ci pare ancora impenetrabile e per questo ci
fa paura.
Per approfondire
“I cinesi non muoiono mai”. Di Raffaele Oriani e Riccardo Staglianò
“L’impero di Cindia”. Di Federico Rampini
Nessun commento:
Posta un commento